giovedì 25 marzo 2010

Di scrittori e di ideologie

La cosa strana è che certe prese di posizione mi fanno prudere il cervello e sono costretto a grattarmelo finché non trovo qualcosa da dire o da ridire.
Quindi ho letto il seguente messaggio di Silvana De Mari che parla di accuse di "diseducazione" sul suo blog (proprio come le avevo formulate io qualche ora prima)
http://www.silvanademari.splinder.com/post/22431391e ho pensato che ognuno in fondo ha le proprie idee, estremiste, progressiste o conservatrici che siano, e che questo blog (dedicato alla fenice di carta, bella, elegante, allusiva ed eterea) non è nato per parlare di ideologie ma di me soprattutto, e di me ultimamente ho poco da dire, e dei libri che leggo, quelli sono tanti e se dovessi elencarli tutti mi ci vorrebbero due Anobii.
Il mio pensiero è volato quindi a quel grande scrittore che era Michael Ende e che a differenza di altri è venuto qui in Italia per cercare libertà.
Nella sua Germania, è chiaro, non c'era libertà.
Michael Ende ha sofferto di una certa critica sessantottina che considerava la letteratura per ragazzi e la letteratura fantasy (anzi fantastica) un sottoprodotto culturale, troppo sradicata dalla realtà storica e dai cambiamenti sociali e culturali ritenuti necessari che invece un certo altro tipo di letteratura doveva prendere in considerazione.
Quindi, a causa di questa incapacità di collocare la letteratura fantastica in un contesto culturale più ampio, Tolkien è stato suo malgrado ideologizzato dalla destra del tempo: i neofascisti che videro nell'epico Il signore degli anelli l'occasione di ricerca di una nuova weltanschauung conservatrice che saccheggiava dal tomo icone e slogan. Michael Ende invece, che con Le avventure di Jim Bottone aveva vinto premi prestigiosi e ottenuto una certa fama, dovette accontentarsi di essere considerato dalla critica bolscevica (così la chiamerebbero adesso) uno dei tanti scrittori di serie B le cui narrazioni mancavano di realismo e di verità storiche ed erano quindi escapistiche.
Ende sentiva l'alito marcio della critica ideologizzata sul proprio collo e si sentiva in qualche modo prigioniero in patria. E da questa prigione fuggì nel 1971 quando, con sua moglie Ingeborg Hoffmann, decise di venire proprio qui in Italia, precisamente a Genzano di Roma, in un bel casale di campagna chiamato Villa Liocorno.
Ende pensava che la vera rivoluzione dovesse partire dall'interno, dal rapporto del sé con il fantastico e la fantasia. Non voleva lanciare messaggi a differenza di altri, anzi, voleva che i libri da lui scritti non fossero confusi con manuali pedagogici e ideologici e voleva che l'invenzione dei suoi "anti-mondi" fosse considerata una necessità, non una fuga.
Ende confessava, riferendosi ai bambini: << [...] Non importa se ciò che amano e trovano "bello" sia reale anche agli occhi di un adulto, poiché anche le bambole e l'orsetto con cui giocano sono fatti "in realtà" solo di un mucchietto di segatura e un po' di stoffa.>>

2 commenti:

Ariano Geta ha detto...

Già, l'errore di fondo di una certa critica letteraria ideologicizzata.
In questi giorni sto leggendo un romanzo di Guido Morselli, di cui si dice che le sue opere siano sempre state rifiutate dalle case editrici anche perché troppo ambiguamente ammiccanti alla destra e al conservatorismo...
Comunque, anche se c'entra poco con tutto il discorso, io pure vorrei fare come Ende e andarmene via...

Magenta ha detto...

e andare dove?

La cosa "buffa" è che Ende venne qui perché all'epoca l'Italia era considerata luogo di totale libertà artistica e scevra da censure