martedì 12 luglio 2011

Vado, Tokyo e torno

Vado, Tokyo e torno, scritto da Fabio Bartoli (1) e pubblicato dalla piccola casa editrice di Latina Tunué, non è una guida turistica, è importante dirlo. E' piuttosto un blog cartaceo ricco di impressioni e suggestioni sensoriali (dal gusto dei cibi giapponesi alla meravigliosa visione della fioritura dei ciliegi, tanto per citarne due). Sono proprio i sensi i protagonisti di questo viaggio che Fabio ha voluto intraprendere in Giappone come a voler chiudere in cerchio la linea che unisce la sua infanzia alla maturità. Fabio, infatti, è nato nel periodo del boom dei cartoni animati giapponesi (2), fa parte della cosiddetta Goldrake Generation (3) e l'attrazione verso il "magico paese del Sol Levante" (4) è stata inevitabile. L'intervista, soprattutto le risposte di Fabio, è lunga e molto approfondita. Credo che sia inutile quindi fare un'introduzione che ripeterebbe soltanto ciò che l'autore spiega meglio nelle sue risposte.


Vado, Tokyo e torno
di Fabio Bartoli
Ed. Tunué

Dal sito Tunué
Dalle mirabilie di Tokyo allo splendore del Fujiyama, le rutilanti mode giovanili si mescolano a una grazia senza tempo. Fabio Bartoli, in un divertente diario di viaggio, racconta la sua avventura nella terra del Sol Levante: impressioni, intuizioni e meraviglia. Usi e costumi.

Sito Tunué con ricca anteprima del libro:
http://www.tunue.com/catalogo-tunue/?libro=vado-tokyo-torno.html

(1). Presto di Bartoli uscirà, sempre per la Tunué, il libro "Manga Scienza. Messaggi filosofici ecologici nell'animazione fantascientifica giapponese per ragazzi".
(2). Goldrake, tanto per citarne uno, e forse il più importante, è andato in onda la prima volta il 4 aprile 1978 presentato sulla prima rete nazionale da Maria Giovanna Elmi.
(3). Riguardo questo argomento è consigliato il libro Mazinga nostalgia, scritto da Marco Pellitteri per la Coniglio Editore.
(4). Verso della canzone Sasuke, scritta da Riccardo Zara e interpretata da I cavalieri del re


Il tuo libro parla di un viaggio particolare, la versione otaku del pellegrinaggio a La Mecca dei musulmani. Cosa spinge un appassionato di manga e anime come te a voler conoscere i luoghi in cui sono nate e ambientate quelle storie?

Personalmente non posso proprio definirmi un otaku ma è fuori da ogni dubbio che io sia un appassionato di manga e anime. Al di là delle distinzioni, però, trovo la tua definizione assolutamente calzante. Questo fenomeno ha origine tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, il periodo della prima invasione degli anime in Italia. Molto di noi sono cresciuti declinando la propria immaginazione attraverso uno stretto rapporto dialettico con la produzione culturale giapponese e io trovo quindi normale, quasi fisiologico, che l'interesse per quel paese, col trascorrere degli anni, assuma una dimensione più matura. Io, per esempio, crescendo mi sono via via appassionato al Giappone anche come paese in sé, a 360°, non solo come culla di manga e anime e perciò una volta che mi si è presentata l'occasione di visitarlo, complice l'invito di un amico andato a lavorare là per un anno, non ho certo esitato. Immagino che col susseguirsi delle generazioni il fenomeno sia destinato a ripetersi con le stesse modalità: oggi e domani sarà non chi è cresciuto con Heidi e Goldrake ma con i Pokémon e Sailor Moon ad affrontare il viaggio con questo spirito. In ogni caso penso sia giusto vivere questa passione con sano entusiasmo e non con un fanatismo o una maniacalità limitanti come fanno, per ritornare all'origine del discorso, gli otaku, anche nella loro presunta versione occidentale

C'è qualcosa del Giappone che immaginavi fosse diverso? E cos'è che ti ha fatto esclamare (se è successo) la frase "E' proprio come nei cartoni animati!"

Ciò che ti stupisce al primo impatto è l'enorme differenza tra le proporzioni di una metropoli come Tokyo e quelle delle nostre città europee, comprese le più grandi: la capitale nipponica è talmente estesa e talmente popolata e frequentata da farti subito accorgere di come le categorie mentali ereditate dalla vecchia Europa siano del tutto insufficienti per prefigurarti lo spettacolo che si para innanzi ai tuoi occhi quando vi giungi. Una volta superato il primo shock sensoriale, devo dire che, almeno personalmente, l'aspetto che più mi ha colpito riguardo la mancata concordanza tra gli stereotipi e le conseguenti aspettative sui giapponesi e la realtà concerne la presenza della tecnologia nella vita quotidiana: il Giappone che ho visto io infatti è tutto fuorché l'impero della tecnologia che noi ci immaginiamo, almeno di quella fine a se stessa. Non ve ne è ostentazione gratuita e l'uso che ne viene fatto è sempre pratico e funzionale. Insomma, se i giapponesi devono scrivere qualcosa su un foglio di carta usano una penna a sfera e non la spada laser di Guerre stellari come qualcuno sarebbe tentato di ipotizzare...
Per quanto riguarda la frase "E' proprio come nei cartoni animati"... beh, la pronunci talmente tante volte che alla fine la dai per scontata. Passeggiare per Tokyo significa davvero ritrovarsi tra le pagine di un manga o nella puntata di un anime: i picnic sotto i ciliegi in fiore (sono stato in primavera), gli studenti che passeggiano con le loro divise, i chioschetti di dolci lungo i viali... Per non parlare di Shibuya, il quartiere dei giovani di Tokyo, quello delle ultime tendenze accompagnate dalla musica J-Pop! Farci un giro significa capire come manga e anime descrivano semplicemente la realtà, senza alcuna esagerazione. Il look dei giovani di Shibuya è lo stesso che vediamo rappresentato, solo per fare un esempio, nei manga di Ai Yazawa. Poi pensa ai capelli dei personaggi maschili, prendendo a modello Ryuzaki/L di Death Note: ecco, i ragazzi a Shibuya li portano esattamente come lui, nessuna iperbole grafica.

Leggendo il tuo libro mi è rimasto molto impresso il passaggio in cui parli degli johatsu, gli evaporati: persone che hanno perso il lavoro e vivono irreversibilmente come dei senzatetto. Il Giappone, anche da questa descrizione, mi dà l'idea di un paese profondamente conservatore. Mi spiego, e parlo da occidentale che non è mai stato in quella terra: ho l'idea che sin da bambini i giapponesi siano educati a questa dignità, preparati alla sconfitta, ma questo più che un valore mi sembra essere uno strumento di controllo finalizzato alla prevenzione delle rivolte sociali. Al Giappone forse è mancato un Sessantotto, un vero e proprio scontro generazionale e di classe. Tant'è che nel libro stesso si parla del look delle nuove generazioni non come vere forme di trasgressione, ma come “divise” omologanti, ovvero: si può indossare una divisa anche tingendosi i capelli dei colori più disparati. Tutt'altra roba rispetto alla cultura punk.

 In realtà credo che il discorso possa partire da anche più lontano. Riallacciandomi alle tue osservazioni potrei dire che non solo il Giappone non ha avuto il suo Sessantotto (movimenti studenteschi e contestazioni hanno avuto luogo ma certo nulla di paragonabile, per esempio, al Maggio francese) ma non ha avuto nemmeno la sua Rivoluzione francese né il suo Quarantotto. Basti pensare che il suo processo di modernizzazione avviato nella seconda metà del diciannovesimo secolo fu originariamente concepito come una restaurazione.
Non si sono mai prodotti quei sommovimenti politici e sociali che hanno mutato il volto dell'Occidente, che anzi cambiava proprio mentre il Giappone rimaneva isolato dal resto del mondo. Credo che da questo punto di vista non possa non incidere la sua collocazione geografica, la sua natura di isola a sé stante, distaccata dal resto delle altre nazioni. Anche paesi come la Cina e l'India hanno una tradizione del tutto diversa dalla nostra ma durante l'epoca coloniale hanno potuto, in seguito al forzato contatto con gli occidentali, mutuare da essi elementi di teoria e prassi politica, economica, sociale... Niente di tutto questo è avvenuto in Giappone, diventato un paese democratico sotto l'occupazione statunitense immediatamente successiva alla Seconda guerra mondiale. Ecco perché è piuttosto estranea al paese l'idea di una trasformazione della società come noi la concepiamo. Oggi ci sono tanti giovani che "contestano" la società dei padri ma più che di scontro si tratta di rifiuto, di rivendicazione di un'alterità sulla base di presupposti individuali, estetici, esistenziali. Più che preparati alla sconfitta i giapponesi sono educati all'obbligo della vittoria, dell'affermazione di sé attraverso i canali adulti del lavoro e della famiglia, obiettivi che oggi in tanti si rifiutano di perseguire per lo sconcerto degli adulti (nonostante sembri una nazione giovane in ogni suo aspetto, il Giappone ha una popolazione dall'età media molto elevata). Quanti di questi ultimi falliscono appunto "evaporano" per la vergogna, per non essere etichettati come un peso per la società. Nel libro non parlo in profondità di questi aspetti perché è un racconto di viaggio in prima persona, non un'analisi fatta attraverso statistiche e letture. Ne approfitterei quindi per sovrapporre i piani del reportage e della riflessione, presentando il Giappone come un paese i cui mutamenti più immediatamente percepibili che io stesso narro con meraviglia e stupore, come l'elevato e costante sviluppo tecnologico e - per restare nello specifico della domanda - le variegate mode giovanili, poggiano in realtà, come tu giustamente osservi, su un sostrato culturale innegabilmente conservatore

Nei loro anime e nei manga i giapponesi si sono messi a nudo raccontando tutto di se stessi: la vita quotidiana, le paure di un apocalisse incombente, loro che forse una versione di questa l'hanno già vissuta nella seconda guerra mondiale, e i desideri più intimi, trasgressivi. C'è qualcosa invece che hanno voluto nascondere a noi occidentali?

Io credo di no, per la semplice ragione che anime e manga sono concepiti soprattutto per il pubblico nipponico. Negli ultimi anni i giapponesi, consapevoli dell'appeal esercitato dai propri prodotti sulle audience straniere, hanno sì intrapreso nuove strategie di marketing di respiro internazionale, ma in fondo gli introiti maggiori rimangono appunto garantiti dal mercato interno. Per esempio anche al museo Ghibli, concepito e realizzato da una casa di produzione ormai famosa in tutto il mondo, le scritte sono quasi tutte in giapponese, segno che l'istituzione si rivolge principalmente alla massa potenziale dei visitatori indigeni. Per questo credo che, gettando su di essi uno sguardo attento, anime e manga possono spiegarci molte cose riguardo il popolo giapponese. Ritengo quindi che più di un loro tentativo di "nascondersi" ai nostri occhi sia la nostra inevitabile mancanza di tutti i requisiti interpretativi necessari (si tratta pur sempre di una cultura diversa e lontana dalla nostra) a farci sfuggire quanto desideriamo comprendere.

Credo che gli anime abbiano formato i bambini della nostra generazione molto più dei classici per l'infanzia. Anzi, il ricordo di molti di essi è legato al corrispettivo animato e non al libro: come Remì o Heidi i cui romanzi sono stati riscoperti proprio grazie al successo dei cartoni animati. Secondo te cosa è rimasto di quegli anime (robotici, maghette, WMT (1), ecc.) nei trentenni di oggi?

Sono assolutamente d'accordo con te. Credo che gli anime abbiano dato a un'intera generazione una scala di valori, delle linee guida per orientarsi nel mondo circostante. Non so se si possa dire lo stesso anche per le epoche successive (è ancora presto per farlo) ma di certo è successo per la cosiddetta Goldrake-generation. Credo che la caratteristica principale dell'animazione giapponese in tal senso sia quella di non offrire una realtà edulcorata ma, anche attraverso le sue rappresentazioni più fantastiche, molto simile a quella che ci si ritrova ad affrontare una volta diventati adulti. Non c'è mai un deus ex machina che risolve la situazione all'improvviso e né basta essere semplicemente buoni per ottenere quanto si desidera. Anzi, molto spesso la realtà è dura, a volte anche crudele e in molteplici occasioni l'eroe deve scontrarsi con gente malvagia e senza scrupoli semplicemente per rivendicare il suo diritto a una vita tranquilla. Spesso da solo non può raggiungere il suo scopo e deve cercarsi gli alleati giusti per perseguirlo, che a volte è costretto addirittura a vedere morire. Una rappresentazione che ad alcuni potrebbe sembrare esasperata ma che senza dubbio prepara all'effettivo mondo degli adulti, quello di cui facciamo esperienza tutti i giorni. Quindi più che rispondere riguardo ciò che è rimasto, ne approfitto per esprimere cosa vorrei che lo fosse: coloro che oggi hanno tra i trenta e i quaranta anni, in cui sono incluso, sono stati bambini in una società che sembrava promettere una vita molto più facile di quella che poi si sono ritrovati a vivere. E' stato un brusco risveglio con cui bisogna comunque fare i conti e personalmente penso che si dovrebbe farlo nel modo suggerito da tantissimi anime, ovvero con determinazione e coraggio, cercando di affermarsi con le proprie forze in un mondo che non ti regala niente. E quando ciò sembra impossibile e da soli tutto appare inutile e frustrante, bisogna cercare l'aiuto dei propri simili con i quali tessere autentiche relazioni di condivisione e solidarietà. Ciò avviene negli anime robotici, in quelli d'avventura, in quelli sportivi... insomma, è una lezione trasversale che oggi siamo chiamati a mettere a frutto. Per quanto ci è possibile, ovvio...

Ad un curioso che intende visitare il Giappone, soprattutto a chi non conosce la lingua e le usanze locali, cosa consigli?

In principio consiglio quello che suggerirei in ogni caso a chi si prepara per un viaggio, ossia informarsi quanto più possibile sul paese che si andrà a visitare, dagli aspetti eminentemente pratici a quelli culturali. Quando ti rechi in un paese per un tempo limitato puoi scoprire solo una parte di quello che ti offre e andarci senza preparazione fa sì che questa parte si riduca ulteriormente. Questo vale a maggior ragione per una nazione come il Giappone, così diversa dalla nostra, nella quale per giunta, considerando la distanza, non si ha affatto la certezza di poter ritornare. Credo che la nostra generazione, potendo disporre di uno strumento come Internet, sia molto agevolata nel reperire informazioni e quindi basta un po' di buona volontà per cercare di soddisfare tutte le proprie curiosità. Io sono stato favorito nel compiere il mio viaggio dalla simultanea presenza a Tokyo di mio amico che viveva là e di un altro che vi si reca molto spesso ma, col senno del poi, posso dire ai turisti di armarsi di molta curiosità e anche un po' di pazienza, dal momento che la conoscenza della lingua inglese, fatta eccezione per gli ambiti più strettamente legati al turismo, non è diffusa quanto si possa pensare. Ai possibili prossimi partenti per il Giappone posso comunque dire di partire tranquilli e rilassati, sia perché il paese nipponico è molto organizzato e quindi molto sicuro sia perché gli indigeni mi sono sembrati sempre molto ben disposti verso gli stranieri, per giunta esentati dall'osservanza di tutte le regole comportamentali che si pretende vengano rispettate dagli autoctoni (questo, chiaramente, non significa essere legittimati ad abusare di questa percepibile tolleranza). Tornando al discorso iniziale, credo che il reperimento di informazioni dal marzo 2011 sia diventato ancora più importante: magari oggi tante persone possono sentirsi scoraggiate nell'intraprendere un viaggio in Giappone perché potrebbero percepirlo, soprattutto a causa di un tam-tam mediatico molto suggestionante e a volte fuorviante (ricordo un servizio della Rai in cui veniva asserito che gli abitanti di Tokyo portassero le mascherine per paura delle radiazioni ma invece le indossano sempre, e specialmente in primavera quando i pollini nell'aria sono più diffusi), un luogo interamente pericoloso. A chiunque possa avere questi dubbi, in via cautelativa consiglio di contattare l'Ente del Turismo giapponese, l'Ambasciata italiana e soprattutto di leggere i blog di italiani che vivono in terra nipponica, provando a contattare se possibile i loro autori; chi vive in un determinato luogo è di certo la persona più adatta a riferire se esso sia sicuro o meno!

Grazie per l'intervista e in bocca al lupo.

(1). World Masterpiece theater. Serie di anime ispirati ai classici per l'infanzia come Heidi, Remì (Senza famiglia), Loverly Sara (La piccola principessa), ecc.
http://teleblu.sigletv.net/index.php/World_Masterpiece_Theater

2 commenti:

Ariano Geta ha detto...

Molto interessante. Sarà che anch'io appartengo a quella generazione, e mi identifico molto sia nelle domande che nelle risposte.

Mirco ha detto...

infatti non è stato facile fare domande perché alcune cose le davo per scontate, dato che anch'io faccio parte della cosidetta "Goldrake Generation" :)