Alle spalle una lunga gavetta nella RCS e come redattrice presso un tipo, anzi un topo molto famoso: parlo di Geronimo Stilton, il cui successo per la critica, è dovuto all'abile mescolanza di tradizione e modernità di linguaggio.
Nell'intervista che Lorenza mi ha gentilmente concesso si parla quindi dei suoi esordi al fianco di Geronimo, della letteratura per ragazzi e ovviamente del suo primo romanzo.
Grazie di essere qui, Lorenza. La prima domanda: come sei diventata scrittrice e come è stato il primo impatto con il mondo dell'editoria?
Allora, non credo che si possa dire 'sono diventata scrittrice quando...', perché ho sempre scritto e sempre amato scrivere. Come correre.
O andare in bicicletta.
Se però vogliamo dare una collocazione ai fatti, ebbene dopo l'Università mi sono iscritta a un corso di tecniche editoriali con il sogno di lavorare in una casa editrice. E così è stato.
Ho lavorato per diverse case finché un giorno di 2 anni e mezzo fa ho deciso che forse 12 anni di gavetta erano stati sufficienti: così mi sono licenziata e, con la speranza di un vento benevolo, mi sono avventurata nel mare infinito della sola scrittura.
Di te devo ammettere che non so molto, forse proprio perché sei sempre stata dietro le quinte. Ho scoperto recentemente che tra le case editrici a cui hai lavorato c'è la Piemme e tra i tuoi datori di lavoro c'è un famoso topo che ha il nome di un formaggio: Geronimo Stilton. Come è nata la collaborazione con Geronimo e com'è stato lavorare con lui?
Stratopico, dovrei dire! :)
È stato Geronimo in pelliccia e baffi a chiamarmi: allora lavoravo alla RCS e sono stata ben felice di andare a lavorare con il topo giornalista. In quegli anni i suoi libri iniziavano a scalare tutte le classifiche: è stato un onore, per me, aiutarlo nel suo lavoro.
Hai collaborato in una collana in particolare?
A tutte.
Ma le mie più grandi soddisfazioni sono state la collana delle Tea Sisters e quella dei Grandi Classici riscritti in 'chiave topesca'.
A quanto pare i topi hanno una grossa presa sui bambini. Secondo te qual è stata la particolarità di Geronimo Stilton che lo ha reso famoso in tutto il mondo?
Il sapiente uso di testo-immagini; la capacità di 'giocare' visivamente con le parole (intendo i grafismi, vale a dire utilizzare font e dimensioni diverse a seconda dei termini cui sui riferiscono); le storie avventurose e comiche.
Infine - ma non ultimo - il personaggio stesso: Geronimo è lo zio (o genitore?) che tutti vorremmo avere.
Hai scritto anche per la tv, tra cui le Winx. Hai collaborato anche alla serie di Geronimo Stilton? Preferisci scrivere libri o scrivere per la tv?
Avevo iniziato a lavorare alla serie di Geronimo, sì, ma come supervisione per Atlantyca (la società di produzione, ndr), non come sceneggiatrice. Ma è stato proprio in quell'occasione che mi sono appassionata alla sceneggiatura.
Io adoro scrivere in generale, non faccio distinzioni: per me non esiste scrittura di serie A e serie B. Inoltre penso che scrivere sceneggiature aiuti tantissimo nella stesura di un romanzo.
Sei anche una sportiva e se non sbaglio sei stata campionessa mondiale di karate. Cosa c'è in comune tra sport e scrittura?
Niente e tutto allo stesso momento.
Sono due parti di me che convivono: il bisogno di sudore, fatica e goliardia da una parte; la necessità di silenzio e introspezione dall'altra.
Solo così mi sento completa.
Cosa pensi della letteratura per l'infanzia e ragazzi di oggi? Cosa fai leggere o cosa vorresti che leggessero i tuoi figli?
Credo che negli ultimi 20 anni la letteratura per ragazzi abbia avuto un'evoluzione incredibile: ormai, quando si va in libreria, c'è davvero l'imbarazzo della scelta, come e quanto per gli adulti. Gran traguardo!
In casa nostra circola un po' di tutto, ovviamente, visto il mio lavoro. Sarò sincera: a me interessa che i miei figli leggano. Punto. Cerco di non pilotare le loro scelte: mi basta che i libri vengano letti.
Parlo soprattutto per il più grande, che ha 9 anni.
Ultimamente mi sono commossa al compimento della Magia, con la 'm' maiuscola. A che cosa mi riferisco? A questo: fino all'anno scorso, io e mio figlio dovevamo contrattare il numero di pagine da leggere ogni giorno (con lui che cercava sempre di farsi fare lo sconto). Ma circa un mese fa ha scoperto i libri di Harry Potter e ora, alla sera, ho il mio da fare per staccarlo da quelle pagine 'magiche'.
In effetti gli ultimi vent'anni hanno visto una crescita vistosa del numero di libri per ragazzi prodotti e numero di pubblicazioni. Se non ricordo male le statistiche della AIE, è l'unico settore in attivo per quanto riguarda le vendite. Questo periodo ha visto anche nascere il fenomeno della "serialità". C'era anche prima ovviamente: di cicli di Salgari tanto per fare un esempio. Ma se per Salgari scrivere serialmente era quasi una costrizione adesso sembra più un'esigenza delle case editrici.
Questa serialità, diffusa soprattutto proprio nel settore ragazzi (i libri fantasy di Licia Trosi o Ulysses Moore di Baccalario tanto per fare due esempi noti, tralasciando il fenomeno Harry Potter che tra le conseguenze del suo successo c'è l'aumento di questo fenomeno), secondo te è una necessità narrativa degli scrittori, un modo per le case editrici di tutelarsi da un insuccesso puntando su un prodotto già collaudato o cosa?
Complimenti per la domanda.
Ci sono di sicuro casi in cui uno scrittore ha in mente una storia talmente complessa che l'unico modo per pubblicarla è spezzarla in più libri (vedi la Rowling, che ha dichiarato più volte che la saga di HP era nata già suddivisa in 7 libri). Presumo che se fossero stati altri tempi, anche 'Il Signore degli Anelli' sarebbe uscito frammentato, minimo in 3 libri.
Detto ciò, c'è senz'ombra di dubbio un'esigenza della casa editrice di creare fenomeni seriali ai quali il lettore si affezioni. In parole povere: una serie azzeccata equivale alla carta Fidaty del supermercato.
Perché in linea di massima (a parte alcuni casi, come detto sopra) uno scrittore preferisce iniziare e concludere una storia in un solo libro (e ogni volta inventare personaggi nuovi).
Per la Piemme Freeway è uscito da poco più di un mese il tuo primo libro: "Vorrei che fossi tu".
E' un libro per teenager, un "genere" che, almeno stando alla visibilità in libreria e alla nascita di nuove collane dedicate, va molto bene. Per lo stesso motivo però rischia di scomparire in mezzo a tanta produzione.
In cosa si differenzia il tuo libro dagli altri e perché consigli di leggerlo?
In generale penso che ormai QUALSIASI libro per ragazzi si perda nel panorama librario, per il discorso che facevamo prima sullo sviluppo della letteratura per ragazzi.
Detto ciò posso però immaginare perché il mio libro può piacere: perché prima di tutto è una commedia per adolescenti che fa ridere, perché non si spaccia per un libro che parla di Grandi Temi ma nello stesso tempo affronta situazioni care come l'amicizia, i sentimenti in genere, la scuola, l'uso dei nuovi mezzi di comunicazione. In una parola: un libro onesto.
Il modo di esprimersi dei ragazzi di oggi viene molto criticato. Lo stile "sms", la voglia di rendersi protagonisti su youtube ad esempio. I "tuoi" ragazzi, almeno il protagonista, sembrano differenti: scrivono correttamente messaggini senza ricorrere alle abbreviazioni (ed è proprio da un sms che inizia la storia) e leggono Marquez. Sono loro il vero specchio di questa generazione o sono "eccezioni" a quella regola?
Inevitabilmente negli ultimi anni il linguaggio 'sintetico' degli sms ha prevalso, anche per una questione di economia di spazio (si scrive di più pagando il costo di un solo sms) e alla fine è diventato un modo di esprimersi tipico dei giovani, che si ritrovano identificati in questo stile abbreviato. Questo va bene, a patto però che si distinguano le varie situazioni. Mi spiego meglio: un linguaggio di questo tipo può andare per gli sms con gli amici, ma un 'xkè' scritto in un tema è inaccettabile.
Ritengo però che gli adolescenti di oggi sappiano distinguere i vari contesti e che siano molto meno 'dementi' di come tanti pseudo studiosi vogliono farci credere lamentando una perdita di valori.
In quali valori credono i tuoi ragazzi?
Prima di tutto nella cultura come mezzo di arricchimento e di crescita. Poi nell'amicizia, nell'amore e nelle relazioni in genere; nel senso di responsabilità; e nel 'vecchio' valore del guadagnarsi le cose. Lo metto tra virgolette perché purtroppo (questo sì) riscontro nella società odierna la predisposizione di dare per scontato tutto ed essere poco disposti a faticare per ottenere qualcosa.
Ti farei altre mille domande, ma non voglio abusare della tua disponibilità. Parlare con te è stato molto interessante. So che stai scrivendo un altro libro e sicuramente sei impegnata con la presentazione di Vorrei che fossi tu. Con quest'ultima domanda torno sul tema della letteratura per ragazzi. Ti chiedo quindi chi è il tuo autore preferito e perché.
Grazie ancora e buona scrittura!
Il piacere è stato mio, Mirco, non solo per le domande che mi hai fatto ma anche per il carattere 'itinerante' dell'intervista.
Quest'ultima domanda, però, è davvero un colpo basso: come faccio a scegliere TRA TANTI il mio autore preferito?! Anche perché, ora che ci rifletto, è più facile avere libri del cuore piuttosto che autori preferiti. Libri che stregano e che, una volta letti in un determinato momento della vita, rimangono scolpiti in testa. È così.
Quindi, se vuoi, posso citarti ALCUNI dei libri che ho più amato. Anzi, facciamo una sorta di top five, come fece il geniale Nick Hornby (scrittore che adoro, per rimanere in tema...) in 'Alta fedeltà'.
1. la trilogia della Bussola d'Oro, di Philip Pullman
2. la saga di Harry Potter, della Rowling
3. Matilde, di Roald Dahl
4. Favole al telefono, di Gianni Rodari
5. Bambini di Farina, di Anne Fine
Vorrei che fossi tu
Editore: Piemme, collana Feeway
Pagine: 210
Costo: 15 euro
Vorrei che fossi tu sul sito della Piemme
3 commenti:
Intervista a una scrittrice, questo sì che é un salto di qualità ;-)
Scherzi a parte, da quello che ho letto mi sembra molto pacata e simpatica, per niente snob.
P.S.: mia nipote andava pazza per Geronimo Stilton.
E' stata molto gentile, come altri dopo tutto. Sono io che di solito non oso chiedere un'intervista. Spero di farne altre in futuro.
Intervista molto interessante!
E poi sono contenta che citi anche Hornby :)
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