martedì 4 gennaio 2011

Il castello che non c'è più (seconda parte)

Seconda e ultima parte del racconto.
La prima parte la trovate qui.



IV

Saranno state le nove, o le dieci ormai. Era tardi e sicuramente la mamma lo stava cercando dappertutto.
Entrare o non entrare? Era davvero lo zio Gerardo quello o soltanto un'allucinazione? Si mise a cavalcioni della staccionata. Entrare o non entrare, ripeteva a mente. Stava decidendo quando una mano lo afferrò per il collo della camicia e lo tirò dentro.
Non mi piacciono le persone che non prendono posizione, ragazzino! – disse lo zio Gerardo voltandosi verso di lui. Ma la cosa strana non era il fatto che potesse vederlo di nuovo, è che non era solo! Di fronte a lui c'era un uomo. Non sembrava un cavaliere: era basso e grassoccio, con pochi capelli ai lati e il naso schiacciato come quello di un maialino. Invece di lottare sferzando una spada e difendendosi con uno scudo, aveva una penna e una cartellina con tanti fogli che volavano via.
È un posto pericoloso questo! Ragazzino, scappa verso il castello!
Il castello. Era vero, non ci aveva fatto caso! Sulla collina adesso Alessandro riusciva a vedere un grande castello scalcinato. Aveva macchie di muschio dappertutto e grosse crepe su tutte le pareti, come se fosse stato colpito da qualcosa. Dalle quattro torri poste agli angoli, i soldati erano pronti per difendersi da un attacco imminente.
Alessandro si mise a correre verso il vecchio castello. Lo zio, nel frattempo, sembrava aver avuto la meglio contro l'uomo in giacca e cravatta.
Zio – disse ansimando per la fatica e la paura – hai... hai ucciso quell'uomo?
No, ragazzino, non è morto, è soltanto stordito. Vedrai che si riprenderà presto – rispose lui mostrando la spada. Da lontano sembrava una vera spada, di quelle antiche, forgiate da qualche fabbro esperto in armi, invece... non era altro che un giocattolo di plastica!
Stanno arrivando! – continuò lo zio digrignando i denti dalla rabbia. Ripose la spada nel fodero e si guardo intorno, da tutte le parti, come se si aspettasse di essere circondato da un momento all'altro.
Chi sta arrivano? – chiese Alessandro.
Gli invasori! Gli abitanti di Burocràzia.
Gli abitanti di Burocràzia? – ripeté Alessandro grattandosi la testa – Cosa vogliono da voi?
Vogliono distruggere il castello e farci passare una superstrada. Poi vogliono anche costruire un cinema multisale e un centro commerciale.

V

Un cinema multisale. Dove ne aveva visto uno? Forse in una di quelle riviste che leggeva sempre la maestra a scuola durante la ricreazione. Adesso ricordava com'era! Era grande quanto un paese, con negozi, un bar, e tante sale ognuna delle quali proiettava un film diverso. Potevi andare in biglietteria e scegliere quello che preferivi. Poi entravi, compravi una busta di popcorn e ti sedevi su una poltrona morbida e comoda, mangiando i popcorn e bevendo aranciata.
Un cinema, un centro commerciale e una grande superstrada che avrebbe collegato il suo paesino con le più grandi città della regione. In fondo non era una cattiva idea: avrebbe aiutato il paese a crescere. Magari dopo aver costruito tutto questo a qualcuno sarebbe venuta voglia di rimetterlo nelle cartine geografiche.
Attorno al castello era stato costruito un fossato. Quando lo zio Gerardo e Alessandro furono di fronte all'ingresso, un ponte levatoio calò lentamente, con un cigolio che ad Alessandro sembrava il pianto di tanti gattini impauriti.
Presto, ragazzino, entriamo – disse lo zio.
Non appena ebbero attraversato il ponte, Alessandro si trovò di fronte a due lunghe file di soldati. In fondo c'era un ragazzo con una pergamena in mano. Il ragazzo si schiarì la voce, si impettì e cominciò a urlare:
Il Barone Gerardo De Fessis, visconte di Castellàzia, Arciduca del Picco Roccioso e anche Principe dei cespugli di ginestre e menta.
A queste parole i soldati scattarono sull'attenti, levarono in aria le lance che poi, viste da vicino, altro non erano manici di scopa alla cui punta era stato appeso un triangolo di cartone colorato.
Chiedo udienza a Sua Maestà il Re! – disse lo zio con voce ferma, anzi disse il Barone Gerardo De Fessis, visconte di Castellàzia, Arciduca dell'eccetera eccetera.
Il ragazzo della pergamena si avvicinò. Diede la pergamena a un soldato che la afferrò e la infilò velocemente sotto l'armatura; poi il soldato gli porse una specie di corona di cartone giallo che sembrava uscita da un fast food.
Eccomi, dunque, Barone Gerardis il Fesso, Visduca di Castellàzia ed altro ancora, dite pure.
Lo zio si inginocchiò togliendosi l'elmo e disse con voce commossa:
Mio re, sovrano della terra di Castellàzia e luce del mondo perduto che tutti vogliono dimenticare e che in fondo non è giusto perché...
Siate breve...
Dicevo, ho udito in Burocràzia che ci sarà una guerra questa notte. E già ho combattuto contro una delle loro avanguardie.
Il re sussultò sorpreso e si grattò il mento dove avrebbe dovuto esserci una folta barba a conferirgli autorità, se non fosse che era troppo giovane per averla.
Che guerra sia, allora! Alle armi! – urlò infine il re alzando una mano al cielo. I soldati esultarono di rimando e alzando le lance in aria ruppero le righe. Il primo di essi si avvicinò al re e disse:
Mio Re, Sovrano del regno di Castellàzia, Sommo Reggente delle terre scomparse eccetera eccetera. Chiedo il permesso di chiamare l'armiere affinché il nostro esercito possa essere pronto per combattere.
Il re si avvicinò, serio, e gli rispose:
Avete il mio permesso. – poi si tolse la corona e continuò – Mi avete chiamato, signore?
Il soldato si irrigidì tutto d'un colpo e assunse un grugno arrabbiato.
Dove diavolo eri? Non hai sentito che sta per scoppiare una guerra? Fila in armeria e prepara spade e scudi se non vuoi essere rinchiuso per una settimana intera nelle carceri!
Il re di Castellàzia, sommo re delle terre eccetera eccetera nonché armiere, rispose:
Scusatemi, provvederò subito.
Il ragazzo corse via scomparendo nella bolgia che si era creata nel frattempo. Lo zio Gerardo si arrampicò sull'asta da cui sventolava la bandiera del regno di Castellàzia e urlò:
Siamo in guerra! Siete pronti a versare sangue e donare le vostre vite per il regno di Castellàzia?
Si! – urlarono in coro tutti.
Bene, in qualità di Barone eccetera eccetera e capo dell'esercito di Castellàzia vi ordino di prendere i vostri posti. In qualità di giullare di corte invece devo purtroppo avvisarvi che lo spettacolo di questa sera è annullato.
I soldati mugugnarono di dispiacere, tutti insieme, pronunciando un sommesso “Oooh” che fece scomparire tutto il loro entusiasmo.
In qualità di cuoco invece per domani vi assicurò doppia porzione di pasta e fagioli e una fetta di torta di mele!
Nuove urla di esultanza costrinsero Alessandro a turarsi le orecchie. Non ci aveva capito granché in tutta quella storia. Inoltre aveva seri dubbi sulla reale possibilità che avevano quegli strani soldati di difendersi.

VI

Alessandro e lo zio Gerardo si appostarono nella torre sud, quella che dava sulla strada principale e da cui, con molta probabilità, si sarebbero avvistati i primi nemici.
Zio, nonché barone, nonché visconte, nonché fratello di mio padre, mi spieghi perché questo castello è invisibile?
Vuoi saperlo davvero, ragazzino?
Certamente. – rispose lui – Altrimenti perché te l'avrei chiesto?
Logica ineccepibile. Ricordami di darti il titolo di Marchese del Trifoglio, una volta finita la guerra.
Grazie zio. Adesso puoi rispondere alla mia domanda?
Certo che posso. Il castello è... come dire... scomparso... non esiste più! È stato distrutto centinaia di anni fa.
Perché volete difenderlo allora?
Perché vogliamo che di questo castello rimanga almeno il ricordo! Questi luoghi presto cambieranno, diventeranno una selva di negozi di scarpe e articoli sportivi, di viadotti labirintici e uffici. Saprete come passare il tempo, avrete la corrente elettrica e un cinema in cui andare. Del castello però, non rimarrà niente! Quando anche quei pochi che se lo ricordano penseranno ad altro, il castello scomparirà!
Quindi questi sono soltanto ricordi!
Sei sveglio ragazzino, ti farò nominare Arciduca del Fossato.
Posso farti un'altra domanda?
Certo, ragazzino.
Mio padre, nonché tuo fratello, nonché marito di mia madre, ha detto che una volta hai visto un drago. Dove si trova?
Oh, ragazzino, i draghi non esistono. È per questo motivo che sono stato chiuso in manicomio!
La conversazione fu interrotta da un urlo simile al verso impaurito di un gallo che sta per essere strozzato.
ARRIVANO!
Delle ombre si avvicinavano lentamente dal fondo del prato. Emettevano gli stessi rumori striduli dei cingolati del trattore di nonno Salvatore. Diventavano sempre più assordanti e invadenti.
Questa volta siamo spacciati! – sussurrò lo zio Gerardo.
Era un esercito formato da ruspe di ogni grandezza. Quelle in prima fila avevano una pala meccanica molto ampia che estirpava erba, fiori e arbusti. Dietro le ruspe marciavano una serie di trattori molto alti da cui pendeva una pesante palla nera legata a una corda metallica. Quella palla sarebbe stata scagliata contro le pareti del castello, demolendolo.
Dietro ancora c'era un nutrito esercito di uomini. Chi con cazzuola e pala, chi con trapano e martello pneumatico.
Chiama il frate, ragazzino, non c'è speranza per noi!
Le ruspe si fermarono vicino al fossato. L'uomo basso e grassoccio che lo zio Gerardo aveva già affrontato, si parò di fronte a tutti gli altri e urlò:
Abbiamo il mandato di demolizione. Uscite finché siete in tempo!
Se ci demolite, cosa rimarrà di noi? – gli chiese lo zio dalla torre con un tono di voce che andava dal disperato al teatrale.
Nulla! – rispose l'uomo ridendo con cattiveria – Di voi non rimarrà neanche il ricordo!
Che guerra sia allora!
GUERRA! – urlarono all’unisono i soldati appostati sulle torri. Alessandro li vide afferrare le frecce dalla faretra e constatò, con molto rammarico, che altro non erano che bastoncini di legno con la punta di carta. Lo zio Gerardo alzò solennemente la spada di plastica in aria. Si schiarì la voce.
Puntate!
Gli arcieri estrassero contemporaneamente una freccia e la appoggiarono sulla corda dell'arco, tirandolo quanto potevano.
Mirare!
A questo punto chiusero un occhio, chi il destro, chi il sinistro. Qualcuno li chiuse entrambi.
Fuoco!

FIUSSHHH!

Le frecce volarono veloci come uno stormo di corvi arrabbiati, tutte dirette verso l'esercito nemico. Ognuna di esse colpì qualcuno. Nessuno si fece male ovviamente, avendo la punta di carta.
Alessandro si avvicinò allo zio con un sonoro sbadiglio.
Zio – disse rammaricato – credo che quelle frecce non siano molto efficaci.
Oh, ragazzino! Come ti permetti! Sono armi speciali, vedrai.
Non è morto nessuno! – si lamentò Alessandro.
In effetti è strano, avrebbero dovuto far effetto.
Le ruspe si animarono improvvisamente. Le pale presero a scavare terra in quantità e ben presto gran parte del fossato fu ricoperto.
Accidempoli! Si sono ringalluzziti!
A questo punto fu la volta dei demolitori. Le grosse palle di ferro furono slegate. Cominciarono a oscillare, prima lentamente, poi con più velocità fino a colpire le mura del castello.
I colpi si ripeterono senza sosta, e il castello cominciò a tremare così paurosamente che i soldati rinunciarono a combattere e si abbracciarono l'un l'altro.
È la fine. – sospirò lo zio – Vedi ragazzino, quelle frecce erano speciali. Ognuna di esse, se ti colpisce, uccide un ricordo. Un uomo senza bei ricordi è povero d'animo e di indole triste. Questi, è chiaro, sono persone cattive e hanno soltanto cattivi ricordi. Così invece di indebolirli li abbiamo resi più forti. È la fine per il nostro regno. Burocràzia ha vinto ormai...
I colpi si susseguivano con insistenza. I soldati piangevano dalla disperazione. Quelli colpiti da pezzi di soffitto crollato scomparivano istantaneamente, ovvero, scompariva il ricordo che qualcuno aveva di loro.
Dobbiamo fare qualcosa! – disse Alessandro. Diede un'occhiata pensierosa al burocrate che si puliva dalla polvere e si pettinava i pochi capelli in testa. Gli occhi del ragazzo si illuminarono di entusiasmo – Se le nostre armi non funzionano, useremo le loro! Zio, chiedi subito una tregua. Sbrigati!
Lo zio non indugiò. Mise la mani a conca davanti la bocca e urlò:
TREGUAAAAAA!
Il burocrate assunse un'aria indispettita, come se gli avessero pestato un piede. In effetti, in mezzo a quel trambusto, qualcuno gliel'aveva pestato davvero.
Cosa volete ancora? – urlò da sotto le mura.
Dobbiamo parlamentare – disse Alessandro con tutta la voce che aveva.
Vedete di sbrigarvi, ho altro da fare, io!
Alessandro scese velocemente le scale di pietra e uscì da una porticina posta a fianco del ponte levatoio. Il burocrate era alto come lui, ma non altrettanto magro. Inoltre aveva un grugno simile a un palloncino che stava per scoppiare.
Vorrei consultare le vostre carte, se non vi dispiace – disse Alessandro con calma.
Il burocrate storse il naso e muggì come un toro arrabbiato. Di malavoglia porse i fogli ad Alessandro che cominciò a leggere.
Mmm... fin qui tutto a posto – disse a un certo punto. Via il primo foglio.
Anche qui – continuò con rassegnazione una volta terminato il secondo. Via anche quello.
Sembra che la richiesta di demolizione sia perfetta ma... ehi, qui c'è qualcosa che non va!
Cosa? – urlò lo zio dall'alto della torre.
Manca il timbro dell'Assessorato alla Pubblica Demolizione!
Il burocrate strappò i fogli di mano ad Alessandro e cominciò a scorrerli velocemente.
Maledetto timbro! – urlò – Glielo avevo detto io di sostituire l'inchiostro!
Un uomo, vestito altrettanto bene ma decisamente più giovane, prese parola, timidamente, con un lieve balbettio della voce.
Ma signore, abbiamo fatto richiesta di nuovo inchiostro SEI mesi fa. Ne servono altri quattro affinché arrivi.
Il burocrate per la rabbia si cacciò i tre fogli in bocca e cominciò a masticarli.
RITIRATA! RITIRATA!
Le ruspe, gli uomini e tutto il seguito di mezzi cingolati si allontanarono dal castello. Dalle torri divampò il grido di esultanza dei soldati.
Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!
Lo zio Gerardo assunse un'aria soddisfatta. Rinfoderò la spada e mise le mani sui fianchi.
Sapete, è mio nipote quello lì! – disse fiero, sospirando ogni tanto – Se non avesse il mio sangue, oh, avrebbe fatto sicuramente una fine terribile! Sicuro. È merito mio in fondo se...
Si accorse troppo tardi che i soldati non c'erano più e che erano scesi per portare in trionfo Alessandro. Anche il re era sceso per rendergli onore ed era di fronte a lui con un'espressione solenne dipinta sul volto.
Alessandro, ti sei dimostrato forte e coraggioso. Ho intenzione di nominarti...
Marchese! – incitò qualcuno.
Conte! – disse un altro.
No, ho intenzione di nominarti RE! – Il re, anzi ex re ormai, si sfilò la corona di cartone e gliela porse. Alessandro chinò la testa per riceverla.
Sire, se volete ascoltare la mia musica sarò felice di allietarvi – disse poi l'ex re tirando fuori un flauto dalla giacca.
Non ho tempo adesso – gli rispose Alessandro – Credo che sia ora di rientrare a casa, mia madre mi starà cercando. Tornerò presto, non vi preoccupate. Non lascerò sola Castellàzia!
Corse verso il confine. Vedendolo andare via rimasero tutti in silenzio.
Alessandro aveva già una gamba oltre lo steccato, infatti era scomparsa e sembrava che ne avesse una sola, quando si voltò e si rivolse allo zio che era rimasto tra i soldati.
Zio che fai, non vieni con me?
No, non ci penso proprio ragazzino! – rispose lui sicuro – Sai, lì fuori è pieno di matti!


2 commenti:

Ariano Geta ha detto...

Devo dire che come narratore per bambini hai un certo talento e dovresti sfruttarlo maggiormente. Magari potresti tentare la pubblicazione tramite qualche associazione culturale delle tue parti per poi distribuirli gratuitamente alle scuole elementari. Sarebbe un primo passo...

Mirco ha detto...

grazie!!! :D
Questo racconto partecipò a un concorso e non lo vinse. Due anni fa credo. Non ho mai provato a pubblicarlo. E' complicato capire chi possa essere interessato.