Editoria a pagamento: cos’è? È quella cosa per cui tu, aspirante scrittore a caccia di una casa editrice, devi sborsare soldi per vedere pubblicata la tua opera.
In altri termini significa che tu, impiegato presso una qualsiasi azienda, devi pagare il tuo capo 1200€ al mese. Perché? Perché sì, naturalmente, perché il mercato è in crisi e non pretenderai che l’azienda si sobbarchi rischi simili? Già ti permettono di lavorare e di avere un posto quando la crisi finirà, quindi zitto e firma l’assegno.
Questa è la prima giornata nazionale contro l’editoria a pagamento, caro scrittore, e siamo qui non tanto per protestare quanto per informare tutti gli autori che, come te, sono alla ricerca di un editore che pagare per pubblicare non è l’unico modo.
E non è nemmeno la regola.
Pubblicare non è un diritto. Non è un diritto inalienabile dell’uomo, si può vivere benissimo anche senza pubblicare un libro. Detto questo, pensa un attimo a una cosa. Prova a immaginare di avere solo la terza media e di volere, a tutti i costi, diventare architetto.
Cosa fai? Vai in uno studio e pretendi di essere assunto? No. Non lo faresti mai, nemmeno ti passa per la testa: non hai le competenze per farlo e un tuo errore causerebbe la morte di molte persone.
Allora perché intestardirsi sul voler pubblicare a tutti i costi? Diventeresti architetto corrompendo, pagando chi ti assume e sapendo che potresti ammazzare qualcuno?
Pubblicare senza averne le competenze equivale a voler fare l’architetto con la licenza media.
Se pagare l’esaminatore per farti passare l’esame della patente senza studiare è corruzione, pagare per pubblicare è perfettamente legale ma a conti fatti cambia qualcosa?
La maggioranza degli editori a pagamento pubblica qualunque cosa. A questo proposito guardati questo video.
Pubblicare non è un servizio. L’editore che sceglie di pubblicare un manoscritto non lo fa per carità divina, per fare un favore all’autore o perché l’autore gli è simpatico: lo fa perché crede che da quel libro potrà ricavarci qualcosa in termini economici.
L’editore è un imprenditore: scommette i propri soldi in ciò che ritiene redditizio; esattamente come fa chi acquista le azioni in borsa, esattamente come chi apre un’attività.
Pubblicare un libro è un lavoro. Un lavoro che va retribuito, perché su quel lavoro l’azienda ci guadagnerà. La tua azienda guadagna anche grazie al tuo lavoro; l’editore guadagna grazie al tuo libro.
Sarebbe come pensare a un ristorante senza pietanze: se chi gli fornisce gli alimenti non viene pagato il ristoratore rimarrà presto senza nulla da dare ai suoi clienti. Il ristoratore non chiede al suo fornitore di pagarlo per fornirgli la merce, è l’esatto opposto.
Ci pensi a un venditore all’ingrosso che viene apostrofato con “o mi paghi o io la tua merce non la prendo”?
Pubblicare senza essere conosciuti non è impossibile. Così come non è impossibile pubblicare gratis. Gli editori che pubblicano esordienti senza chiedere un centesimo ce ne sono a centinaia (e qui ne potete trovare più di 120).
E se nessun editore non a pagamento ti pubblica ti si aprono due vie: rinunciare e pensare che probabilmente nel testo c’è qualcosa che non va o scegliere l’autopubblicazione tramite un POD (Print On Demand) come Lulu o Boopen o Ilmiolibro, avendo cura di dare la disponibilità del download gratuito assieme all’acquisto del testo cartaceo.
Se stai pensando che in questo modo, senza un editore a pagamento alle spalle, non avrai editing, correzione bozze, copertina e promozione sbagli: l’unica cosa che ti mancherà sarà la copertina.
lunedì 31 maggio 2010
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8 commenti:
Sei iscritto anche tu al writer's dream? Proprio ieri leggevo come hanno preso per il fondelli ilfiloonline, e come quelli lì (con gran faccia di c...) provavano a rigirare la frittata.
Sono iscritto ma non ricordo né il nick né la password. Lo leggo da sloggato quando serve. Ci sono i video di quella conferenza, ma ancora non ho avuto modo di vederli.
a margine di quello detto nel comunicato del Writer's Dream, che condivido pienamente, devo però dire che non sono del tutto d'accordo su alcune loro scelte. Infatti hanno deciso di mettere nella lista delle case editrici non a pagamento una casa editrice che è vero che non si fa pagare, ma neanche retribuisce. Neanche un 1% sul ricavato. Questo a mio parere è una forma di pagamento a posteriori.
Questa è un'annotazione interessante.
In effetti per "Stagioni" non ho pagato, ma anche non sto ricevendo percentuali sul venduto.
Mi sta bene così per infinite ragioni e sfumature contestuali all'opera in sé e alla filosofia del copyleft che sta alla base della casa editrice.
Ma in effetti, ritengo che un piccolo editore di un autore esordiente, una volta recuperati i costi di stampa, promozione ed editing (quindi dopo totmila copie) dovrebbe garantire una percentuale minima sul venduto all'autore.
Allo stato attuale delle cose, sembra fantascienza, ma in realtà si dovrebbe tutt'al più discutere sulla percentuale del ricavato, non sulla sua legittimità.
Andrea, se la casa editrice riceve denaro dalla tua opera allora non è copyleft. Un'opera copyleft deve essere distribuita gratuitamente, con i giusti riconoscimenti agli autori. Una volta diventata commerciale (come ad esempio alcune release di Linux) allora l'autore deve ricevere il suo compenso.
Non so quale sia, ma credo che questa casa editrice
1- O abbia frainteso il senso di copyleft
2- Ce sta a prova'
(sono andato a vedere sul tuo blog. Confermo che l'attribuzione di copyleft non è legittima: è una pubblicazione i cui ricavati vanno per il loro sostentamento. Essendo No Profit possiamo dire che è per "giusta causa", sta nella fiducia che hai in loro accettare un contratto simile, ma non è comunque copyleft")
Ci deve essere un compenso per ogni cosa commerciale. Come dicono sul Writer's Dream nessuno deve pagare per lavorare (editoria a pagamento), ma il concetto deve essere esteso anche con: "nessuno deve lavorare gratis".
Il mio libro reca in calce la seguente affermazione: "Considera l'ipotesi di acquistarne una copia originale per sostenere l'editoria in copyleft. I proventi saranno reinvestiti nella pubblicazione di altre opere o di altri autori".
Per quel che ho capito (l'argomento è complesso).
Il copyleft (nella narrativa) è un copyright ribaltato: io ho i diritti sull'opera e decido che tutti possono copiarla, diffonderla e modificarla, purché non ci sia lucro.
E fin qui tutto bene: "Stagioni" è scaricabile e visionabile gratuitamente.
O.M.P. però riproduce il libro e lo mette in commercio.
Ma non a fini di lucro: al contrario, il guadagno è reinvestito nella pubblicazione di altri autori sempre con medesima licenza.
O.M.P. non è infatti una società, ma un associazione no-profit, in perfetta linea con quanto sopra detto.
Tutto come limpidamente da te sintetizzato.
Perché ho accettato le condizioni del "Copyleft"?
Perché la mia specifica priorità non era guadagnare sul lavoro svolto, ma far raggiungere la massima visibilità possibile al progetto e agli autori coinvolti, senza investire capitale, contando sul fatto che essendo un libro illustrato la soluzione più conveniente per un lettore colpito positivamente dal mio libro restava l'acquisto.
Concettualmente mi piaceva anche l'idea di offrire col mio libro capitale utile all'editore per la pubblicazione di altro materiale con la stessa formula di pubblicazione.
Pubblicherò ancora in Copyleft?
Non lo so.
Il fatto che O.M.P. abbia scelto di investire sul mio lavoro senza chiedermi alcun contributo (dopo che diversi altri editori mi avevano proposto pubblicazioni a pagamento) mi ha indubbiamente ben disposto nei loro confronti.
La filosofia di base nel Rovesciamento del Copyright mi affascina in senso "democratico".
Mi rassicura il fatto che nessun acquirente del mio libro ne resterà deluso, proprio perché avrà prima la possibilità di valutarlo attentamente e interamente in rete.
Ma.
L'assenza di lucro imposta dal Copyleft, indubbiamente impigrisce e rallenta gli investimenti in termini distributivi e di resa estetica nella confezione finale del libro (rilegatura, carta, copertina).
@Mirco: francamente, io sarei stanca di sentirmi dire cosa devo fare. Il "deve essere fatto" non esiste, non con me. Il Writer's Dream è mio e segue la mia politica, non le idee e le opinioni di Pinco Panco e Panco Pinco.
Poi: se hai qualcosa da dire su come si potrebbe migliorare il WD o altro ci sono un bellissimo indirizzo mail, un bellissimo gruppo Facebook, un bellissimo forum e un bellissimo blog: dirlo su altri posti non serve a niente. Capisco che tu possa esprimere il tuo disappunto, lo puoi fare dove ti pare; ma se entri a gamba tesa con "le cose devono essere fatte così" devi parlarne con chi di dovere, non chiacchierarne al bar.
Detto questo: pagare per lavorare è una cosa che va contro qualsiasi logica, lavorare gratis è ben diverso. Pensa agli stage, alle collaborazioni gratuite, al volontariato, ai portali come il mio: io mi ci spacco il culo, assieme al mio staff, e non mi paga nessuno. Io lavoro gratis.
Dunque? Secondo la tua logica dovrei iniziare a farmi pagare, sennò starei facendo una cazzata.
A me interessa fare informazione. Fino a quando ci sarà gente che dice "pagare per pubblicare è giusto/è l'unico modo/altra stronzata a piacimento" io sarò lì a dire "ma anche no". E' quello che a me preme far sapere, che esistono diverse realtà e che gli editori a pagamento, quando rifilano certe giustificazioni, prendono in giro la gente.
L'editore non a pagamento che non ti paga non ti sta prendendo in giro, non ti dice "è l'unico modo per pubblicare", non ti fa credere che o è così o muori: ti dà un'alternativa. A te la scelta se prendere o lasciare.
E' molto, molto diverso dall'editoria a pagamento - sebbene io non condivida nessuna delle due politiche.
Dimenticavo: sono l'amministratrice di Writer's Dream.
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