E' interessante il discorso sui Ghost Writers nato sul blog di Francesco Falconi. Lo trovo interessante perché James Patterson ha ammesso di non scrivere tutti i libri che portano il suo nome e ciò mi ha fatto capire una cosa che non sapevo di pensare: il nome dell'autore, in fin dei conti, non è fondamentale.
Sembra che Patterson abbia una squadra di ghost writers che non soltanto elaborano i suoi soggetti, ma ne propongono di originali. Il lavoro di Patterson quindi non è tanto quello dello scrittore: Patterson è un editor che dirige una sorta di casa editrice (o collana di libri) che porta il suo nome. Il suo è un marchio non dissimile da quello di Geronimo Stilton o della Findus. Potrebbe addirittura essere simile al lavoro di scrittura collettiva che svolgono i Wu Ming dai tempi di Q, o ad una factory di idee che Patterson coordina e firma. Questo editor quindi vaglia le idee, i manoscritti, seleziona le bozze e infine dà la sua approvazione. Tanto per essere chiari, ribadisco che sono dell'idea che il nome dell'editor debba figurare tra i crediti di un libro sia perché il suo contributo è fondamentale, e se non fosse così allora potremmo tutti ricorrere alle case editrici a pagamento senza avere troppi sensi di colpa, ma sopratutto perché in molti casi il suo intervento, per non parlare di riscrittura, è pesante e si nota. Ho quasi la presunzione di averlo notato più volte dopo aver letto autori diversi pubblicati nella stessa collana o nella stessa casa editrice. Quello dell'editor in casi come questi non è una sorta di ghost writing?
Ritengo che alla fine però conti il libro. Intendo metonimicamente il contenuto del libro. Se i libri di Patterson mi piacciono allora continuerò a comprarli indipendentemente da questa notizia (non ne ho letto neanche uno a dir la verità e non sono stimolato a farlo). Se non mi piaceva prima continuerò a lasciarlo sugli scaffali della libreria.
Lo stesso discorso potremmo applicarlo anche in altri campi, ad esempio la moda.Gli stilisti non creano personalmente tutti i capi che firmano. In molti casi si limitano ad approvarli e lo fanno in base al loro gusto estetico e al mercato.
Il Ghost Writing diventa sleale quando un libro viene venduto come scritto da un tal autore (e questo autore di solito è un personaggio famoso analfabeta) senza dire chi c'è realmente dietro. Quello è sleale, non si tratta di essere fantasmi, ma vampiri.
L'ammissione di Patterson non è altro che la messa in evidenza di qualcosa che era già sotto i nostri occhi: è l'esasperazione del marchio ma anche di una certa serialità che sta invadendo prepotentemente la letteratura senza avere, in molti casi, una vera giustificazione narratologica (qui mi potreste obiettare che la serialità esiste da secoli, ma non a questi livelli forse). Tutto questo non è molto diverso da ciò che teorizzava Warhol. I libri vengono venduti insieme ai detersivi e quindi anche essi, come i detersivi, devono avere un proprio marchio distintivo perché il consumatore moderno ha troppe cose a cui pensare, troppe insicurezze e, almeno per quanto riguarda il marchio, vuole essere rassicurato.
venerdì 27 agosto 2010
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2 commenti:
Riguardo i libri intesi come "intrattenimento", non c'è dubbio che sono scritti "scientificamente" seguendo delle regole (ogni tot pagine una scena di sesso, ogni tot pagine un colpo di scena, etc.) e a quel punto è ovvio che possa esserci dietro un'equipe anzichè una singola persona.
Riguardo i libri di letteratura che vuole scavare nell'animo umano senza preoccuparsi delle vendite, il discorso di cui sopra non è fattibile, ed è un mondo completamente parallelo rispetto ai libri di consumo. Un po' come i film dei fratelli Vanzina versus quelli dei fratelli Taviani...
Infatti è quello che lascio intendere. Alla fine per libri di intrattenimento il nome conta poco.
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